lunedì 11 giugno 2012

L'introvabile meta

Sabato sera ho visto la mia amica Ada, che abita a Roma e che ho perso un po' di vista. Io e lei abbiamo fatto la stessa scuola, abbiamo vissuto insieme tre anni e abbiamo riso fino alle lacrime chissà quante volte. Insieme abbiamo coltivato e contrastato il nostro Gino, quell'essere interiore che ci perseguitava fin da quando eravamo adolescenti e che ci faceva sentire inadeguate in ogni occasione.
Lei ha una guida spirituale, una specie di santone, ma se sa che lo chiamo così si arrabbia. 
Un maestro indiano che gira il mondo e che insegna un metodo "per guardare dentro di sé e trovare la felicità".
C'è stato un tempo in cui ero molto infelice, adesso mi sembra un'altra vita. Mi mancava tutto, figurarsi se potevo guardare dentro di me e trovare la felicità. Eppure lei ogni volta che tornava a casa dagli incontri in cui ascoltava il messaggio del santone, camminava su un cuscino d'aria dorata. Stava scoprendo piano piano un sacco di cose. 
Io su una cosa simile avrei dovuto superare mille barriere di scetticismo. Rispetto a tutto ciò che è vagamente new age (la definizione è forse superata) sono sempre stata un po' ambivalente, non liquido frettolosamente la cosa, ma mi muovo con circospezione.
Però di lei mi potevo fidare e anche la sua parte razionale era sempre stata vigile.
Allora ho cominciato a frequentare anche io quel gruppo, tutte persone normali, non particolarmente fulminate ma tutte innamorate del santone e del suo messaggio. 
Quello che veniva richiesto era l'assiduità della frequenza agli incontri, niente soldi, niente cose strane. Per mesi e mesi, tutte le settimane andavo ai miei bravi appuntamenti a vedere e ascoltare Lui. La mia amica mi faceva discretamente da tutor, io però non riuscivo a entrare veramente nel solco del messaggio. Mi piacevano, sì, le cose che diceva: viaggio alla scoperta di se stessi, fare esperienza con il proprio mondo interiore, ascoltare il cuore... E poi c'era il mistero, perché il metodo segreto mi sarebbe stato rivelato solo alla fine del percorso. 
Ma innamorarsi era un'altra cosa. Le mie difese erano torrioni.
Avrei partecipato, insieme a tutti quelli che arrivavano in fondo con perseveranza e fede, a un grande evento in qualche grande città d'Europa e avrei avuto la rivelazione, in un'estasi corale. 
Ada, in visibilio, mi parlava di quel momento magico, quello in cui le tecniche vengono passate ai nuovi adepti. Attraverso quelle tecniche, praticate ogni giorno, lei stava affossando il suo Gino.
Io la ascoltavo e mi chiedevo quando anche io sarei finalmente arrivata al feeling giusto. La cosa che mi turbava di più era la richiesta di esclusiva devozione al Maestro, nessun'altra voce doveva interferire. Io sono sempre stata un po' allergica all'idea stessa di maestro, ma ho voluto proseguire il cammino. In più c'era una cosa che a me, razionalona, non andava giù: per stare bene, bisogna "disfare" le cose che si sanno, bisogna decostruire, disimparare. La semplicità è il segreto di ogni cosa.
 
Tutto era strano perché non era, come potrebbe sembrare, una setta, ma una moltitudine variegata e internazionale di persone, anche colte e ricche, che aveva un suo fascino. 
Insomma, alla fine mi sono "diplomata" a Roma. Quel giorno in effetti fu emozionante, mi sentivo in una bolla, insieme a un sacco di altra gente. Il grande momento era arrivato: il Maestro, nel suo vestito bianco, piccolo e lontano, in una grande poltrona, in un semplice ma solenne raduno ci passò l'essenza della sua filosofia, le famose tecniche. Mentre mi concentravo per metterle in pratica, ero un po' incredula e, pur non volendo ammetterlo a me stessa, una vocina importuna diceva "Tutto qui?"
Comunque, alla fine ero molto fiera di me e piena di buone intenzioni. Ada e il suo fidanzato, nonché quella che era diventata la mia estetista-amica, erano i miei fari nella notte.
Ora avevo le tecniche, non restava che mettermi lì mezzora al giorno, e praticarle.
Ada, ovunque si trovasse, non poteva mancare il suo appuntamento con la pratica quotidiana, come raccomandato da Lui. 
Io con incerto entusiasmo muovevo i miei primi passi nel mondo della conoscenza. Dopo giorni e giorni di diligente applicazione non mi succedeva assolutamente nulla. I pensieri si affollavano nella mia meditazione, mi sembravano delle nuvole di passaggio, il respiro mi accompagnava come una musica. Era bello, ma nulla che assomigliasse all'eden che mi aspettavo. Forse, come altre volte, non sapevo cogliere le magie più semplici e dal Maestro non avevo imparato nulla. 
Aspettavo e mi chiedevo cosa stessi sbagliando. C'era un momento, mi avevano raccontato, in cui l'universo si spalanca e capisci cosa sia davvero la pace interiore. E quella semplicità, fatta di nulla, solo di quello che c'è dentro di te, si chiama felicità.
Ecco, era roba grossa, per cui si capisce la mia delusione quando ho scoperto che dentro di me non c'era un bel niente. O almeno io non lo trovavo. 
È durata qualche mese. Poi mi sono stufata e sono venuti altri tempi. Ada non mi ha mai chiesto come sia andata l'esperienza. Non ha funzionato, lei lo ha capito e fine. Non è roba per tutti. 
Però, l'altra sera al grande evento del Maestro in città ci sarei andata, non fosse stato per le mille e una cose da fare a casa e a scuola. Certo, per trovare la pace interiore, quello che si deve a fare è proprio riuscire a mettere da parte tutto il mondo esteriore. 
Qualcuno ce la fa.

1 commento:

  1. non so. io invidio chi ce la fa così, con i "trucchi" insegnati da qualcuno.
    adesso sono felice, ma ho passato anni bui davvero e, se avessi cercato dentro di me la felicità, probabilmente avrei trovato un cartellino con scritto: "torno... non so quando".

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