Il consorte, stanco di farneticazioni digitali e di fatiche telematiche, ha finalmente deciso, a quattro anni dall'arrivo di Mafalda, di rimettersi sopra un sellino, che più ridotto non si può, ad osservare il mondo non da un oblò, ma da un telaio in carbonio.
Sogno finalmente realizzato, a lungo da me osteggiato per pure motivazioni economiche. Anche se siamo dovuti andare fino a Riccione per trovare una bici adatta alle nostre tasche.
Ai comuni mortali, a sentir lui, è preclusa quella particolare sensibilità riservata a chi nasce con pedali al posto dei piedi. Quella sensibilità che permette di percepire attraverso le ruote, mozzi e catene le più piccole asperità della strada. Questa mistica della bicicletta, che non comprendo ma a cui mi adeguo, è un grande ritorno alle origini, non solo una delle derive pseudo intellettuali del Technoco che la nutre di letture, filmati e memoriali, riempiendo lo scaffale di cd e cimeli di pirati e cannibali. Per i non addetti, trattasi di pedalatori passati alla storia.
Questo per dire che da qualche tempo, con mia grande soddisfazione, si è ritornati alle tute e calzini puzzolenti di sudore da bici e abbronzatura a strisce, nonostante l'autunno inoltrato. Nonché a discussioni, o meglio monologhi post prandiali su rapporti, livelli di soglia, chilometri percorsi.
La storia d'amore con la bici del Tech si era interrotta sei anni fa, mentre si consumava l'interminabile attesa dell'arrivo di Mafalda. L'ansia della paternità imminente non si conciliava coi rischi connessi alla pratica di un'attività sportiva che, sia pur ridotta a livello amatoriale, comprende discese percorse a 90 km l'ora e volate con unico premio un aperitivo. Perché il Tech è competitivo, infantilmente competitivo. Come lo sono gli amici di pedalata, tutti dai 40 ai sessanta e passa anni, che cercano nella due ruote soddisfazioni altrove carenti. E non può accettare di pedalare oziosamente, solo per diletto, ma deve finalizzare le sue scorrerie alla preparazione alle stagionali terribili corse con il numero appiccicato sulla schiena. Senza il quale, a sentire sempre lui, tutta quella fatica non ha senso.
Quando cercavo di indurlo a ritornare in sella, mi anteponeva la necessità della bici in carbonio, caso che mi mandava su tutte le furie. Mi chiedevo perché non gli bastasse la sua vecchia bici in metallo meno pregiato, come pare sia l'alluminio.
Dopo un litigio coi fiocchi, avvenuto davanti a un'esposizione dell'oscuro oggetto del desiderio, e proseguito fino a casa, il senso di colpa mi ha portato al mercato telematica, dove mi sono prodigata per trovargli una bellissima bici usata in carbonio, proprio come la voleva.
Ora è tornato in grande stile a pedalare dietro ai tubi di scappamento sulle trafficatissime strade che ci circondano. Ma è contento come un bambino con la sua bella bici e io sono contenta con lui.
Sta di fatto che la bici ha ispirato molte cose belle.
puoi sempre seguire il marito in macchina sul Ghisallo e poi fermarti a mangiare la polenta uncia da Gabriele.
RispondiEliminaIo non so se mi ricordo ancora come si fa ad andarci. Per la polenta chiedo passaggio in auto.
RispondiElimina@noisette Non lo seguo, lo precedo e lo aspetto direttamente con le gambe sotto il tavolo.
Elimina@minnelisa (vorrei chiamarti minne, ma non mi sembra carino, anche se da quello che dici mi pare appropriato...) al ghisallo, non vedo altro modo di arrivare se non motorizzati. Però, dai, in riva al lago che bei giretti si fanno in bici...