L'Italia in questa vigiila di Natale
sembra di nuovo a pezzi e anche il mio buon Technoco si sente nello stesso modo. Fuori di metafora.
Tutto inizia la mattina verso le 10,40,
lui è uscito da poco, bardato da bravo ciclista in lotta contro
l'inverno padano.
Mentre riordino la cucina, suona il
telefono.
Mi vieni a prendere alla rotonda?
La voce è quella che conosco, quella
delle occasioni brutte. In bici, non è la prima.
Che e ti è successo?
Mi hanno messo sotto, sto aspettando
l'ambulanza
Ansima e tira su col naso.
Ansima e tira su col naso.
Spavento e stizza, ce l'ho con la bicicletta.
Mi preparo a uscire di corsa, cercando di dominare l'ansia, se mi sta chiamando vuol dire che non sta poi così male.
Mi preparo a uscire di corsa, cercando di dominare l'ansia, se mi sta chiamando vuol dire che non sta poi così male.
Mafalda alla notizia reagisce sorpresa.
Ma è andato a messa? chiede.
Sguardo interrogativo mio, poi ricordo
l'infausta domenica di fine settembre. Non è il mio papà, è il tuo
papà che ha avuto un incidente. Ma non ti preoccupare, non è nulla.
Non sembra avere del tutto realizzato,
ma nemmeno io del resto.
Come starà? Sarà una maschera di
sangue? Cerco di rassicurare me stessa nel breve tragitto, ma non
faccio in tempo a elucubrare che già vedo il lampeggiare
dell'ambulanza.
La bici è adagiata nell'aiuola, lui
non lo vedo gli infermieri e i vigili sono attorno alla porta
dell'autolettiga. Io sono come sospesa, che sta per succedere? Non ho
paura, sono incosciente?
Lei è la moglie? Salga.
E se non lo fossi, non potrei salire?
E se non lo fossi, non potrei salire?
Sì, salgo, ma dove? I posteriori degli infermieri ostruiscono il passaggio e la visuale.
Come sta? Chiedo al vigile.
Bene, lo
vede? E' in piedi.
No, non lo vedo in effetti, poi si diradano i sederi e lo vedo, rigagnoli di sangue e occhio tumefatto, sto bene, dice, ma
non è vero.
A mezzogiorno è a casa, mi dice il vigile rassicurante
Dopo mezzoretta entro nel più
grande ospedale cittadino.
La sala d'attesa del pronto
soccorso è grande, un po' sudicia, ma manca quel senso di ansia
opprimente che si respira in altri ospedali. Il ragazzo alla reception
indossa una felpa di superman, sbrigativamente mi dirotta verso una
sua collega, è intento a guardare il monitor del pc, credo che stia
giocando.
La tizia controlla e dice
che è appena entrato in sala visite e mi dà un biglietto verdo
munito di codice a barre.
Il tempo per guardarsi
attorno al pronto soccorso non è mai poco e così passeggio qua e là
cogliendo brandelli di conversazione.
Una ragazza dall'aria
emaciata coi piedi sui sedili, accanto al suo ragazzo dal look vagamente notav
si lamenta delle tasse che si pagano a suo dire inutilmente, vista la
qualità dei servizio.Io finora ho da dire solo sulla felpa del ragazzetto della reception.
Poco distante un gruppetto di persone, all'apparenza rom, staziona in attesa che qualcuno vada alle macchinette sparavivande. Lo
capisco quando vado a prendere un caffè e arriva uno di loro
chiedendomi dei soldi per una bevanda calda, io gli do il mio, poi
realizzo che se tutti facessero così loro morirebbero di overdose di
caffeina.
Aspetto, di tanto in tanto
vado al totem, così si chiama il dispositivo che permette di
verificare le tappe del paziente dentro gli ambulatori. Adesso sta
facendo la radiografia. Dopo un po' è in attesa del referto.
Torno alla macchinetta dove
ancora devo prendere il caffè visto che non l'ho bevuto.
Due inservienti dall'accento
slavo stanno conversando, quando arriva un tizio dall'aria resa
ancora più truce da un berretto calcato sulla fronte e dai pantaloni
in tela mimetica.
Guagliò, perché mi hai detto di venire qui, mentre ti
ho chiesto di andare di là? Lo stupore dell'inserviente non lo
convince.
Ma io ti avevo detto...
Ti spacco la faccia guagliò.
Poi,
forse disarmato dalla calma e dalla sorpresa dell'altro, cambia idea e
se ne va dirigendosi all'interno.
Io continuo ad aspettare e origlio per
ingannare l'attesa. Un ragazzotto racconta di come a scuola lo
costringano a imparare cose assurde, tipo come apparecchiare la tavola,
disporre posate e bicchieri.
Minchia che palle, quante cose, come ci stressano, alla fine devo fare il cameriere, le posate sono posate, che me ne frega se le metto così o cosà.
Meno male che ha scelto
l'alberghiero. Più di tanto danno non potrà fare.
A un tratto appare un omino. È su una sedia a
rotelle, un bella infermiera sorridente lo spinge. Il mio povero consorte, il volto tumefatto, pare rimpicciolito, miindica con la mano. Non
riesce a parlare e dice solo che gli fa male.
Poi di nuovo viene spinto verso il buco
nero dell'ambulatorio. Sono passate due ore e mezza.
Lo rivedo dopo altre due ore
e mezza, dopo innumerevoli visite al totem.
Il povero Tech aspetta da
tre ore l'esito della TAC. Non è che sia proprio un fiore. Si potrebbe avere un punturone di
Voltaren?
L'infermiera ha un cappello
da Babbo Natale e questo mi ricorda che domani è la vigilia. I miei
piani per il menù sono saltati. E siccome alla fine la
Tac ci ha detto che non c'è un osso intero nell'amato volto del
Tech, si profila il ricovero. Penso che scartare i regali all'ospedale è una cosa che non ho mai fatto e che avrei anche fatto a meno di sperimentare. Ma se andasse così, non mi lamenterei visto che, a pensarci bene, poteva andare peggio.
Mi dispiace tanto!
RispondiEliminaD'accordo, poteva andar peggio.
RispondiEliminaMa poteva anche andar meglio, per la miseria!
Auguri a entrambi e soprattutto a lui., ma tienici aggiornati.
un abbraccio forte, se serve, più forte.
RispondiEliminanooo!!!
RispondiEliminaforza e un abbraccione.
@tutte
RispondiEliminaRagazze, non so se sono una roccia o se mi verrà un coccolone a breve. Però siamo qui a casa. Per gli interventi, vedremo fra qualche giorno quando si sarà sgonfiato. Il menù di domani prevede la variante pappe natalizie. Grazie! E auguri:-)