lunedì 16 aprile 2012

Da Berlino a Milano, con trasporto

Questa mattina mi stavo recando in metropolitana al convegno presso la Prestigiosa Biblioteca per assistere alla dotta discussione sulle dis-abitudini di lettura dei nativi digitali, in cui in sostanza ho sentito delle cose non banali ma risapute, dette in modo molto dotto, a tratti troppo dotto per una platea di poveri insegnanti, alla ricerca di dritte per accalappiare alunni sempre meno motivati, sempre più incapaci di stare attenti per più di 30 secondi a ciò che stanno leggendo/ascoltando/facendo. Ma non era di questo che volevo parlare, anche se merita una puntata. Mi stavo recando, dicevo, al convegno in metro, con la testa ancora volta indietro ai pochi giorni trascorsi in terra germanica. Ogni cosa era motivo di confronto: le stazioni MM milanesi, anonime e tutte uguali, mettevano tristezza, paragonate a quelle berlinesi: Questa sono tutte diverse, di fine ottocento e, a differenza di quelle parigine, hanno mantenuto quell'aria retrò. La maggior parte non ha subito ristrutturazioni che ne abbiano cambiato il volto (ma quelle nuove sono spaziali), poche le scale mobili, scarsa la segnaletica (unica pecca trovata nell'arco dell'intera vacanza. La nostra linea gialla è nuova, pulita ed elegante, unico ornamento: i cartelloni pubblicitari. Ma è fredda e vuota. Infatti in questa bella carrellata di stazioni in giro per il mondo quelle di Milano non compaiono. La U bahn berlinese viaggia per molti kilometri in superficie, le belle stazioni in ferro e acciaio sono accessibili senza nemmeno esibire il biglietto. Da noi, belle porte in vetro si aprono e chiudono per far entrare i passeggeri muniti di biglietto. Lassù, due vagoni sono dedicati al trasporto bici, da noi forse stanno iniziando ora a pensarci. Del resto, a Berlino i ciclisti la fanno da padroni. I poveri utilizzatori delle due ruote milanesi, pur in aumento costante, si trovano a lottare quotidianamente con piste che finiscono nel nulla o direttamente sulle rotaie del tram e, se vengono da fuori, non c'è un mezzo che li porti in città. Quando avevo 15 anni, ogni mattina mi ritrovavo schiacciata come una sardina nei vagoni di legno e velluto delle gloriose FNM, a boccheggiare insieme ad altri 300 sfortunati delle carrozze centrali (ma a nulla valeva salire in fondo o davanti, perché erano piene lo stesso)ai 35 gradi prodotti dalle stufe che, da sotto i sedili, cuocevano i fondoschiena dei più avveduti comaschi che trovavano il posto a sedere. Io non guardavo fuori, perché ero stritolata in mezzo agli altri, ma conoscevo bene il paesaggio: ciò che restava di una brughiera spelacchiata e sporca tra Quarto Oggiaro e Bovisa. Mi chiedevo perché mai non avessero mai pensato di costruire una bella pista ciclabile che seguisse le rotaie, lo spazio c'era, mi pareva tanto semplice. Poi i problemi sarebbero sorti tra Bovisa e Bullona, dove la ferrovia s'interrava, ma una soluzione si sarebbe potuta trovare. Era il 1975, a Berlino esistevano già 200 km di U bahn, chissà se c'erano le piste ciclabili, almeno nel settore occidentale. Io fantasticavo anche di velostazioni (non le pensavo con questo nome, l'hanno inventato adesso, ma io l'idea ce l'avevo) a Cadorna. Pensavo a quanto sarebbe stato bello prendere il treno la mattina e poi, una volta giunta nella tentacolare Milano, inforcare la bici custodita durante la notte in un apposito deposito. Non ero certo un genio, mi parevano soluzioni di buon senso anche se un po' avvenieristiche. Ho atteso quasi 40 anni ma ancora non ci siamo.

Nessun commento:

Posta un commento