lunedì 16 aprile 2012

Sindrome da rientro

Di solito, quando torno da una capitale europea resto con la piva per qualche giorno e sono peggio disposta verso le piccole idiozie che incontro sulla via. Ma Berlino, oltre a una sorta di ammirazione, la solita che nutro verso il teutonico in genere, mi ha lasciato anche una scia di benevolenza verso il mondo. Sono inoltro contenta perché sto andando a un seminario interessante sulla lettura all'epoca dei nativi digitali. Il vagone della metropolitana è vuoto e io non ho nulla da leggere, attendo storie su cui sintonizzarmi per il breve tempo del viaggio. Salgono tre signorine sui 25 anni, agghindate secondo la moda del mese, vale a dire stivali di stoffa e borchie, giubbino di finta pelle stropicciata, foulardone e occhiali, unghie arabescate e smarfon d'ordinanza. Io le studio, mi piace osservare i giovani, per cogliere le differenze o per rivedere la ragazza che ero. Le tre sono vivaci e la conversazione è animata, si parla dell'amica a Londra, della grigliatina da organizzare con gli amici, di problemi col capo, dell'ultima puntata di non so quale reality e infine di un appuntamento da prendere: "Ciao Vero, allora? Lettino e capelli? Occhei, lettino e capelli. Va bene, lettino e capelli, sì dai, ho capito, ciao ciao. Sì, lettino e capelli." Evapora lo stato di beatitudine. Mi consolo pensando che anche se le conversazioni berlinesi fossero di questo calibro, io non le capirei. Quindi posso crogiolarmi nell'illusione che all'estero tutto sembra migliore solo perché non si conosce la lingua.

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